Ogni anno, il 27 marzo, si celebra la Giornata mondiale del Teatro, una ricorrenza istituita nel 1962 dall'International Theatre Institute e dagli esperti dell'UNESCO. Questa data è stata scelta in coincidenza con la cerimonia di inaugurazione del Teatro delle Nazioni a Parigi.
«L’arte è pace»: Kumanta Academy celebra la giornata mondiale del teatro con il messaggio di Jon Fosse
L’ International Theatre Institute ha origine nel contesto storico segnato dalla conclusione della seconda guerra mondiale e dall’inizio della guerra fredda. Il teatro si trova quindi ad affrontare la sfida della ricostruzione e della soppressione delle ferite causate dal conflitto globale.
L’obiettivo è quello di sostenere le iniziative dell’UNESCO riguardanti cultura, educazione e arti, con particolare attenzione al miglioramento delle condizioni di lavoro nei settori dello spettacolo, a tutti i livelli.
La giornata mondiale del teatro assume un ruolo di rilievo in questo contesto, fungendo da importante punto di convergenza tra gli operatori teatrali di tutto il mondo e la vasta comunità di individui che nel teatro trovano un legame comune, antico e sempre presente.
Da allora, ogni 27 marzo, il mondo intero celebra questa giornata speciale, durante la quale viene richiesto a una personalità del mondo del teatro, della musica e della cultura di scrivere un messaggio significativo. Quest’anno segna la 62a edizione della Giornata Mondiale del Teatro, e il messaggio, intitolato “L’arte è Pace”, è stato redatto da Jon Fosse, acclamato scrittore e vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 2023. Il suo messaggio richiama in modo profondo e incisivo i valori fondamentali del teatro per la comunità globale, sottolineando il suo potere pacifico e universale.
“L’ARTE È PACE”
Ogni persona è unica e, allo stesso tempo, simile a tutte le altre. L’aspetto esteriore, visibile di ciascuno è diverso da quello di chiunque altro, questo è ovvio, ma c’è anche dentro ogni individuo qualcosa che appartiene solo a quella persona, che è proprio solo di quella persona. Potremmo chiamarlo il suo spirito, o la sua anima, oppure potremmo decidere di non etichettarlo affatto con le parole, lasciandolo semplicemente stare là.
Ma anche se diversi gli uni dagli altri, siamo al contempo simili. Le persone di ogni parte del mondo sono fondamentalmente simili, e questo indipendentemente dalla lingua che parliamo, dal colore della pelle che abbiamo, dal colore dei capelli.
Potrebbe sembrare un paradosso: siamo completamente simili e completamente dissimili allo stesso tempo. Forse ogni persona è intrinsecamente paradossale, nel legame tra corpo e anima: comprendiamo in noi sia l’esistenza più terrena e tangibile, sia quanto trascende questi limiti materiali e terreni.
L’arte, la buona arte, riesce, in modo meraviglioso, a coniugare l’assolutamente unico con l’universale. Ci permette di comprendere ciò che è diverso – ciò che è estraneo, si potrebbe dire – in quanto universale. Così facendo, l’arte supera i confini tra le lingue, le regioni geografiche, i paesi, mettendo insieme non solo le qualità individuali di ciascuno, ma anche, in un altro senso, le caratteristiche individuali di ogni gruppo di persone, ad esempio di ogni nazione.
L’arte non lo fa appiattendo le differenze e rendendo tutto uguale, ma, al contrario, mostrandoci ciò che è diverso da noi, ciò che è estraneo o straniero. Tutta la buona arte contiene proprio questo: qualcosa di estraneo, qualcosa che non possiamo comprendere completamente e che, allo stesso tempo, in un certo senso, comprendiamo. Contiene un mistero, per così dire. Qualcosa che ci affascina e che ci spinge oltre i nostri limiti, creando così quella trascendenza che ogni arte deve contenere in sé e alla quale deve condurci.
Non conosco modo migliore per unire gli opposti. Questo approccio è esattamente il contrario rispetto a quello dei conflitti violenti che vediamo troppo spesso nel mondo, che assecondano la tentazione distruttiva di annientare tutto ciò che è estraneo, unico e diverso, spesso utilizzando le invenzioni più disumane che la tecnologia abbia messo a nostra disposizione. C’è il terrorismo nel mondo. C’è la guerra. Questo perché le persone hanno anche un lato animale, spinte dall’istinto di percepire l’altro, lo straniero, come una minaccia alla propria esistenza piuttosto che come un affascinante mistero.
È così che l’unicità, le differenze che si possono vedere, scompaiono, lasciando dietro di sé un’uniformità collettiva in cui tutto ciò che è diverso diventa una minaccia da sradicare. Ciò che dall’esterno è visto come una differenza, ad esempio nell’ambito della religione o dell’ideologia politica, diventa qualcosa da sconfiggere e distruggere.
La guerra è la battaglia contro ciò che risiede nel profondo di ognuno di noi: qualcosa di unico. Ed è anche una battaglia contro l’arte, contro ciò che risiede nel profondo di ogni arte.
Ho parlato qui dell’arte in generale, non del teatro o della drammaturgia in particolare, perché, come ho detto, tutta la buona arte, in fondo, si basa sulla stessa cosa: prendere l’assolutamente unico, l’assolutamente specifico, per renderlo universale. Unire il particolare all’universale, esprimendolo artisticamente: non eliminando la sua specificità, ma enfatizzandola, lasciando risplendere ciò che è estraneo e non familiare.
La guerra e l’arte sono opposti, proprio come lo sono la guerra e la pace. È semplicemente così. L’arte è pace.
Jon Fosse